sabato 11 aprile 2015

Archibald Leitch, un genio dell’architettura prestato al mondo del calcio







Evidentemente Archibald Leitch aveva l’architettura nel sangue. Aggiungeteci la sua passione per il calcio, in particolare per i Rangers, e i conti sono presto fatti: se oggi il football d’Oltremanica vanta alcuni tra gli impianti sportivi più belli del mondo, un piccolo merito è anche del signor Leitch. Proprio così, perché l’architetto scozzese prestò la sua firma alla realizzazione di oltre 20 stadi sparsi tra il Regno Unito e l’Irlanda a cavallo tra il 1899 e il 1939. Quarant'anni della propria esistenza dedicati al calcio portarono alla luce veri e propri capolavori architettonici, destinati ad accogliere lo sport che nel XX secolo si diffuse a macchia d’olio in tutta Europa. E a lasciare a noi posteri il più bel ricordo della genialità di quest’uomo.

Gli inizi e il primo incarico

Archibald Leitch nacque a Glasgow il 27 aprile 1865 e non tardò a manifestare il proprio amore per l’architettura e l’ingegneria: nel 1882 entrò a far parte della società d’ingegneria Duncan Stewart & Co, divenendo dapprima disegnatore nel 1887 e poi costruttore navale nel 1888. Dopo 3 anni di lavoro sparso tra l’Asia e il Sudafrica, Leitch tornò a Glasgow nel 1890, si sposò e fu nominato nel dicembre del 1896 membro dell'Istituto degli Ingegneri e costruttori navali in Scozia, mentre nel febbraio dell'anno successivo divenne un socio dell'Istituto londinese di Ingegneria Meccanica. Leitch ebbe la fortuna di lavorare sotto i più importanti ingegneri scozzesi e dal 1898 iniziò a mettersi in proprio. Gli si affiancò in questo periodo l’ingegnere civile Harry Davies e i due si occuparono negli anni seguenti di commissioni industriali. Nel marzo 1899 Leitch ricevette il suo primo vero incarico da parte dei Rangers di progettare il nuovo stadio di Ibrox Park, inaugurato successivamente nel 1990. Leitch dimostrò in quel caso tutto l’amore per la propria squadra non richiedendo alcun costo per la realizzazione dell’impianto.


Un esordio da dimenticare

Eppure il debutto calcistico dell’architetto fu un vero e proprio dramma ed ebbe vita assai breve. L’Ibrox non resse all’urto delle oltre 68.000 persone accorse per assistere ad una sfida tra Scozia ed Inghilterra dell’aprile del 1902. Accadde che la West Stand – una delle due curve dello stadio - crollò rovinosamente sotto il peso degli spettatori. Davanti agli occhi di Leitch - presente quel giorno in tribuna per vedere la sua Scozia - centinaia di persone fecero un salto nel vuoto di diversi metri. In quella che fu la prima sciagura della storia in un impianto britannico morirono in 26, mentre altri 500 rimasero feriti. La struttura in legno con giunture in ferro non era per nulla adatta a contenere folle di quelle proporzioni, come notò più tardi un affranto Leitch, in quel momento sicuro che la sua carriera da designer di impianti sportivi sarebbe durata molto poco.


La fiducia che segnò la svolta

Le cose andarono però in maniera totalmente diversa. A sorpresa la dirigenza dei Rangers gli chiese di ricostruire Ibrox, consapevole che in quegli anni di giganteschi progressi della tecnica e dell’ingegneria gli incidenti – anche quelli gravi- erano purtroppo all’ordine del giorno. Dopo Ibrox i suoi consigli servirono per ristrutturare il Celtic Park e lo stadio nazionale scozzese di Hampden Park. Il primo incarico in Inghilterra arrivò tramite lo Sheffield United, mentre a partire dal 1903 Leitch era al lavoro per completare il nuovo stadio del Middlesbrough, l’Ayresome Park (rimasto in funzione fino al 1995), in tempo per l’esordio del club in First Division. Negli anni a venire l’architetto si occupò della parziale o totale realizzazione di quasi una trentina di impianti calcistici dislocati tra Scozia, Irlanda e Inghilterra, tra cui Old Trafford, Stamford Bridge, Craven Cottage, Fratton Park, Highbury, Anfield, Ewood Park, il Molineux e il Villa Park, mettendo mano a Londra anche a Twickenham, tempio degli amanti del rugby.

Quegli stadi furono molto apprezzati dal pubblico, composto da uomini in giacca e copricapo d’ordinanza pronti a recarsi in massa sulle gradinate per godersi una bella partita di football.

A vivere tanto quelle strutture furono però i giocatori stessi, che lì si allenavano, sfruttando sia il terreno di gioco che le tribune. Non era raro infatti vederli correre su e giù tra le gradinate con un sacco di sabbia sulle spalle oppure trovarli appesi alle transenne per svolgere pesanti sedute di esercizi fisici. I più giovani della rosa in estate dipingevano le tribune o davano una passata di cemento alle gradinate, mentre alcuni manager non si tiravano indietro quando c’era da aiutare gli inservienti a spalare la neve nei freddi mesi invernali.


Uno stile semplice e omogeneo

L’architettura di Leitch era molto uniforme. Gli stadi avevano una forma rettangolare, con i lati completamente chiusi. La tribuna centrale, la main stand, aveva i seggiolini in legno ed era realizzata su due piani (tiers) divisi da una balconata adornata con una serie di decorazioni che richiamavano i colori del club. A sovrastare questa struttura vi era un tetto spiovente in ferro ondulato, spesso diviso in caratteristici spicchi ad arco. Al centro della copertura, rivolto verso il campo da gioco, si incastonava con eleganza uno dei marchi di fabbrica dell’architetto scozzese: il gable, ossia il frontone con lo stemma o il nome della squadra (quello di Craven Cottage ne costituisce forse l’esempio più bello). Il resto dello stadio era improntato all’essenzialità. Erano poi presenti un’altra tribuna - il più delle volte scoperta e sottoposta alle intemperie climatiche - e un paio di gradinate (terraces) molto spartane, aventi la forma di un pendio erboso in discesa ingentilito da una colata di cemento e protette da una schiera di crash barriers, le transenne brevettate dallo stesso Leitch. Queste ultime, impiegate fino agli anni sessanta in tutto il Regno Unito, avevano l’obiettivo di smorzare i moti della folla di tifosi che assistevano alla partita in piedi e che erano perennemente accalcati gli uni addosso agli altri.

La similarità dei progetti era dovuta ai budget molto ridotti messi a disposizione dai presidenti dei vari club committenti, interessati a ideare tribune abbastanza capienti da soddisfare l’enorme fame di calcio che già a quei tempi caratterizzava il popolo britannico. Leitch simboleggiava dunque la praticità e la funzionalità architettoniche fatte a persona, ma non mancarono le volte in cui egli steso sforò con le spese di costruzione.


Il testamento dell’architetto

Le opere di Leitch resistettero in buona parte fino ai primi anni Ottanta, anche se alcune strutture furono modificate già in precedenza. Ora solo 11 delle tantissime tribune da lui disegnate rimangono ancora in piedi e solo tre stadi – Craven Cottage, Fratton Park e Goodison Park – mantengono l’impronta del progetto originale.

Molti suoi lavori subirono nel corso del tempo gli effetti del Taylor Report (emanato in seguito alla strage dell’Hillsborough del 1989) che obbligava tutti gli stadi ad avere soli posti a sedere. In particolare, la Trinity Road Stand del Villa Park, considerata il suo capolavoro assoluto, venne demolita nel 2000 per far posto a una stand più moderna con posti esclusivamente all-seater.

Uno dei più grandi rimpianti di Leitch fu quello di non essere stato interpellato per il progetto di costruzione del vecchio Wembley, affidato a Maxwell Ayrton nei primi anni ’20. La mancata commissione per realizzare quella che per i tifosi inglesi è la cattedrale del football tormentò la mente del baffuto architetto scozzese fino alla sua morte, giunta il 25 aprile 1939. Alla lunga lista di opere progettate da Leitch mancava solo il nome Wembley, che gli avrebbe conferito la totale consacrazione nel mondo dell’architettura da stadio.

Ma poco importa, perché se la vista degli impianti calcistici inglesi continua a toglierci il fiato per quel mix di storia e tradizione che aleggia intorno, parte del merito è anche suo. Di quell’architetto scozzese che progettò i teatri dei nostri sogni.

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