Il calcio lo salvò da una vita di stenti e di fatiche nelle miniere di carbone. E a Liverpool diventò un simbolo, un’icona immortale e una divinità, idolatrata ancora oggi ad Anfield e nei pub della città di fede Reds. Lui, William “Bill” Shankly, socialista proveniente dalla working class, fu l’artefice della rinascita del Liverpool nel decennio compreso tra gli anni ’60 e ’70, quando prese per mano un club nel fango della Second Division e lo trasformò in un vero e proprio fenomeno europeo, ponendo le basi per i successi degli anni a venire.
La sua storia iniziò il 2 settembre 1913 a Glenbuck, piccolo villaggio (ormai non più esistente) della Scozia, con poche centinaia di anime e una miniera di carbone. Lì Bill Shankly non mise mai piede, salvato da una famiglia con una spiccata propensione al football che poteva contare su altri 4 fratelli, tutti calciatori professionisti nelle file del Glenbuck Cherrypickers, squadra considerata all’epoca un serbatoio di talenti che diede numerosi giocatori al calcio professionistico e alla Nazionale scozzese.
Shankly fu l’unico che disputò un solo provino con il club prima che questi morisse, per poi approdare nel 1932 al Carlisle United per un anno. Ma fu anche il solo tra tutti i suoi fratelli che raggiunse la Nazionale, con cui giocò 12 partite tra il 1938 e il 1943, grazie alle belle prestazioni offerte durante la sua militanza al Preston North End tra 1933 e il 1949 che gli valsero anche la vittoria in Coppa d’Inghilterra nella stagione 1937-38.
Shankly si ritirò dal calcio giocato nel 1949 e iniziò la carriera da manager che lo avrebbe consacrato da lì a poco: dopo il battesimo alla guida del Carlisle United e le tappe intermedie nel Grimsby Town, Workington e Huddersfield, arrivò la chiamata della vita: era un giorno del 1959, quando al termine di un match di Division Two tra il Cardiff e l’Huddersfield il presidente dei Reds Tom Williams e il dirigente Harry Lathman avvicinarono Shankly e gli chiesero se gli sarebbe piaciuto allenare all’ombra di Anfield. La risposta non si fece attendere: la sua storia e quella del Liverpool sarebbero cambiate per sempre.
L’avventura che lo avrebbe reso una leggenda iniziò l’1 dicembre 1959, con uno stipendio annuale di 2.500 sterline. Il suo compito era risollevare le sorti del Liverpool per riportare il club ad essere il primo della città, contrastando il dominio dell’Everton di quegli anni. Shankly era un ottimo oratore (“Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più”) e psicologo dei giocatori, un uomo carismatico con una spiccato senso dell’umorismo ma con un eccellente professionalità sul lavoro. L’inizio tuttavia non fu dei migliori: all’esordio sulla panchina del Liverpool e davanti ai suoi nuovi tifosi, la squadra perse malamente contro il Cardiff per 0-4. Dagli errori si impara e il manager decise di rivoluzionare il club: stilò una lista di 24 giocatori che non rientravano nei suoi piani e che nel giro di un anno avrebbero lasciato Anfield.
Le sue origini umili si riscontrarono anche nel modo di approcciarsi ai calciatori e alla base del suo ragionamento vi era la convinzione che quando uno degli undici mandati in campo si trovava in difficoltà, spettava ai suoi compagni aiutarlo e sostenerlo proprio come avrebbero fatto tra loro i minatori di Glenbuck. Shankly aveva una cura maniacale della preparazione atletica e sottoponeva la sua squadra a pesanti allenamenti, riempiendo inoltre le fila del Liverpool di giovani ignorati dai grandi club su cui il manager riponeva grandi aspettative. I risultati non tardarono ad arrivare e la promozione in First Division fu raggiunta nella stagione 1961-62.
Dopo un’annata di ambientamento nella massima serie, il Liverpool conquistò il suo sesto titolo in assoluto nel 1963-64, interrompendo un digiuno che durava da 17 campionati. Nello stesso anno, Shankly modificò la divisa da gioco del club rendendola completamente rossa, colore che da allora non fu più cambiato.
I Reds giocavano un calcio spumeggiante e veloce, un mix di passaggi corti e scorribande sulle fasce. La gente tornò ad affollare Anfield e Liverpool a metà degli anni ’60 divenne capitale del football e della musica: i Reds erano pronti ad affermarsi in Inghilterra e in Europa, mentre i Beatles erano diventati il fenomeno musicale del momento. La cavalcata europea si fermò solo in semifinale, ma la conquista della stagione 1964-65 fu la prima FA Cup nella storia ottenuta a Wembley contro il Leeds. Fu la definitiva consacrazione di Shankly, vincitore nel giro di due anni del titolo e della Coppa d’Inghilterra. Mancava solo un ultimo sogno proibito da raggiungere che rispondeva al nome di Europa. E il Liverpool ci andò vicino, perdendo la finale di Coppa delle Coppe dell’edizione 1965-66 contro il Borussia Dortmund. Nel medesimo anno arrivò però il secondo titolo nazionale: Shankly era diventato ormai un mito dalle parti di Anfield, anche grazie all’aiuto dei due fidati assistenti Bob Paisley e Joe Fagan. Tra Shanks e il Liverpool si instaurò un rapporto di puro amore, basato su un legame indissolubile e incondizionato tra allenatore, giocatori e tifosi. Una Santa Trinità – come lui stesso la definì - che fu il segreto di tutti i successi ottenuti sotto la sua guida. L’empatia con i sostenitori era totale e Shankly si sentiva a tutti gli effetti uno di loro: figlio della working class come le migliaia di persone che ogni sabato assiepavano la Kop. Il credo politico e i valori morali furono alla base della sua visione del calcio: “Per me il socialismo vuol dire lavorare per gli altri e dividere con loro i risultati. E’ il modo in cui intendo il football, è il modo in cui intendo la vita”.
Nel frattempo molti giocatori del Liverpool iniziarono una parabola discendente e costrinsero il manager a ricorrere al mercato nella stagione 1966-67, in quella che fu sorta di seconda ricostruzione. La fase di rinnovamento continuò per qualche anno e di trofei ad Anfield non se ne videro più. Almeno fino al 1972-73, quando il Liverpool tornò alla ribalta e mise in bacheca il terzo titolo della gestione Shankly. Lo scozzese ebbe ancora ragione: anni di transizioni e privi di soddisfazioni servirono per costruire una squadra che in quell’anno dominò la scena nazionale e internazionale. Grazie all’ingaggio di Kevin Keegan nel 1971, i Reds si aggiudicarono anche la Coppe UEFA e Shankly divenne il primo allenatore a condurre un club inglese al successo in campionato e in Europa nella stessa stagione.
Un episodio avvenuto nel 1973 lo vide protagonista e fece epoca: durante il giro d'onore per celebrare la vittoria del campionato, un agente di polizia gettò di lato una sciarpa lanciata dalle tribune. Shankly si avvicinò all'agente e gli disse: «Non farlo, per te è solo una sciarpa, per un ragazzo rappresenta la vita», raccogliendo poi la sciarpa e legandosela al collo. Un microfono posto nelle vicinanze captò e diffuse le sue parole, dimostrando per l’ennesima volta l’amore reciproco instauratosi tra il manager e la tifoseria.
Shanks era all’apice della sua carriera e una volta raggiunta la cima della montagna iniziò una lenta quanto inesorabile discesa. Il capolinea fu rappresentato dalla vittoria della FA Cup nel 1973-74 contro il Newcastle, al termine della quale Shankly si lasciò andare agli elogi verso i suoi giocatori: “Il Liverpool è la migliore squadra d’Inghilterra e probabilmente del mondo” disse ai giornalisti.
Quella sarebbe stata una delle sue ultime dichiarazioni rilasciate alla stampa in veste di allenatore del Liverpool. Al rientro negli spogliatoi, con i suoi giocatori in preda ai festeggiamenti, Shankly si sedette in disparte e meditò il suo addio. Una decisione che avrebbe sconvolto un’ intera città e tutto il calcio inglese.
Durante una conferenza stampa del 12 luglio 1974, Shankly dapprima annunciò l’acquisto di Ray Kennedy dall’Arsenal, poi lasciò la parola al presidente John Smith che lesse un comunicato: “E’ con grande rammarico che devo informarvi che mister Shankly intende ritirarsi dalla carica di allenatore”. Nessuno credette inizialmente a quelle terribili parole. Eppure non si trattava di uno scherzo, era tutto vero. A 61 anni, il manager che aveva creato una squadra eccezionale partendo dal nulla, rassegnò le dimissioni. Si disse che questa decisione fu motivata dal desiderio di passare più tempo con la propria famiglia e staccare la spina da un’attività che aveva privato Shanks di molte energie fisiche e mentali. Il suo posto fu assegnato al fidato collaboratore Bob Paisley, che raccolse i frutti del duro lavoro di Shankly. In 9 anni la nuova guida dei Reds vinse più del proprio predecessore, per un totale di 20 trofei sparsi tra Inghilterra ed Europa. Ma i primi mesi di Paisley da allenatore furono tutt’altro che semplici: Shankly si pentì delle dimissioni, iniziò a frequentare nuovamente - ma da privato cittadino - Anfield e il campo di allenamento a Melwood. La dirigenza non gradì e gli vietò l’ingresso negli impianti, timorosa che la sua costante presenza togliesse credibilità al nuovo manager. La reverenza nutrita nei suoi confronti era talmente forte che i calciatori si rivolgevano a lui chiamandolo “Boss”, mentre Paisley doveva accontentarsi del solo appellativo “Bob”. I tifosi presero malissimo il suo allontanamento forzato e accusarono la società di scarso rispetto verso colui che aveva reso grande la loro squadra. Shankly non prese nemmeno in considerazione un ruolo dirigenziale, data la sua forte antipatia verso tutti i “colletti bianchi”- visti come semplici affaristi - dovuta al suo spirito socialista tipico dei membri della working class. Negli anni a venire, Shanks si divise tra la famiglia e le partitelle dei ragazzini cui spesso assisteva. La vicinanza della propria abitazione con il campo di allenamento dei Toffees gli fece stringere rapporti amichevoli con il principale bersaglio delle sue simpatiche battute negli anni d’oro. Immortali rimangono le frecciate rivolte ai cugini, che prima del suo arrivo ad Anfield erano gli assoluti padroni della città: “Ci sono solo due squadre di calcio nel Merseyside: il Liverpool e le riserve del Liverpool” e ancora “Se l'Everton giocasse nel giardino sotto casa chiuderei le tende”.
Un improvviso infarto si portò via per sempre Shankly il 29 settembre 1981, gettando nello sconforto un’intera nazione. Fu soltanto una morte fisica, perché il suo spirito vive tutt’ora dalle parti di Anfield. In sua memoria, il Liverpool gli edificò una statua fuori dalla Kop e gli intitolò uno degli ingressi allo stadio, il celebre “Shankly’s Gate”, presente anche nello stemma del club.
In occasione del centenario della sua nascita – caduto in concomitanza con il Derby d’Inghilterra tra Liverpool e Manchester United del 2 settembre 2013 - Anfield gli dedicò una coreografia commovente, levando uno striscione dalla Kop con la scritta “He made people happy”. Perché la felicità fu quel sentimento che Shankly regalò a una città intera (“I wanted to bring back happiness to the people of Liverpool“) e per il quale si guadagnò l’affetto e l’amore di una tifoseria che continua ancora oggi a ringraziare colui che dalle ceneri fece risorgere un club destinato a fare la storia in Inghilterra e in Europa.
La sua storia iniziò il 2 settembre 1913 a Glenbuck, piccolo villaggio (ormai non più esistente) della Scozia, con poche centinaia di anime e una miniera di carbone. Lì Bill Shankly non mise mai piede, salvato da una famiglia con una spiccata propensione al football che poteva contare su altri 4 fratelli, tutti calciatori professionisti nelle file del Glenbuck Cherrypickers, squadra considerata all’epoca un serbatoio di talenti che diede numerosi giocatori al calcio professionistico e alla Nazionale scozzese.
Shankly fu l’unico che disputò un solo provino con il club prima che questi morisse, per poi approdare nel 1932 al Carlisle United per un anno. Ma fu anche il solo tra tutti i suoi fratelli che raggiunse la Nazionale, con cui giocò 12 partite tra il 1938 e il 1943, grazie alle belle prestazioni offerte durante la sua militanza al Preston North End tra 1933 e il 1949 che gli valsero anche la vittoria in Coppa d’Inghilterra nella stagione 1937-38.
Shankly si ritirò dal calcio giocato nel 1949 e iniziò la carriera da manager che lo avrebbe consacrato da lì a poco: dopo il battesimo alla guida del Carlisle United e le tappe intermedie nel Grimsby Town, Workington e Huddersfield, arrivò la chiamata della vita: era un giorno del 1959, quando al termine di un match di Division Two tra il Cardiff e l’Huddersfield il presidente dei Reds Tom Williams e il dirigente Harry Lathman avvicinarono Shankly e gli chiesero se gli sarebbe piaciuto allenare all’ombra di Anfield. La risposta non si fece attendere: la sua storia e quella del Liverpool sarebbero cambiate per sempre.
L’avventura che lo avrebbe reso una leggenda iniziò l’1 dicembre 1959, con uno stipendio annuale di 2.500 sterline. Il suo compito era risollevare le sorti del Liverpool per riportare il club ad essere il primo della città, contrastando il dominio dell’Everton di quegli anni. Shankly era un ottimo oratore (“Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più”) e psicologo dei giocatori, un uomo carismatico con una spiccato senso dell’umorismo ma con un eccellente professionalità sul lavoro. L’inizio tuttavia non fu dei migliori: all’esordio sulla panchina del Liverpool e davanti ai suoi nuovi tifosi, la squadra perse malamente contro il Cardiff per 0-4. Dagli errori si impara e il manager decise di rivoluzionare il club: stilò una lista di 24 giocatori che non rientravano nei suoi piani e che nel giro di un anno avrebbero lasciato Anfield.
Le sue origini umili si riscontrarono anche nel modo di approcciarsi ai calciatori e alla base del suo ragionamento vi era la convinzione che quando uno degli undici mandati in campo si trovava in difficoltà, spettava ai suoi compagni aiutarlo e sostenerlo proprio come avrebbero fatto tra loro i minatori di Glenbuck. Shankly aveva una cura maniacale della preparazione atletica e sottoponeva la sua squadra a pesanti allenamenti, riempiendo inoltre le fila del Liverpool di giovani ignorati dai grandi club su cui il manager riponeva grandi aspettative. I risultati non tardarono ad arrivare e la promozione in First Division fu raggiunta nella stagione 1961-62.
Dopo un’annata di ambientamento nella massima serie, il Liverpool conquistò il suo sesto titolo in assoluto nel 1963-64, interrompendo un digiuno che durava da 17 campionati. Nello stesso anno, Shankly modificò la divisa da gioco del club rendendola completamente rossa, colore che da allora non fu più cambiato.
I Reds giocavano un calcio spumeggiante e veloce, un mix di passaggi corti e scorribande sulle fasce. La gente tornò ad affollare Anfield e Liverpool a metà degli anni ’60 divenne capitale del football e della musica: i Reds erano pronti ad affermarsi in Inghilterra e in Europa, mentre i Beatles erano diventati il fenomeno musicale del momento. La cavalcata europea si fermò solo in semifinale, ma la conquista della stagione 1964-65 fu la prima FA Cup nella storia ottenuta a Wembley contro il Leeds. Fu la definitiva consacrazione di Shankly, vincitore nel giro di due anni del titolo e della Coppa d’Inghilterra. Mancava solo un ultimo sogno proibito da raggiungere che rispondeva al nome di Europa. E il Liverpool ci andò vicino, perdendo la finale di Coppa delle Coppe dell’edizione 1965-66 contro il Borussia Dortmund. Nel medesimo anno arrivò però il secondo titolo nazionale: Shankly era diventato ormai un mito dalle parti di Anfield, anche grazie all’aiuto dei due fidati assistenti Bob Paisley e Joe Fagan. Tra Shanks e il Liverpool si instaurò un rapporto di puro amore, basato su un legame indissolubile e incondizionato tra allenatore, giocatori e tifosi. Una Santa Trinità – come lui stesso la definì - che fu il segreto di tutti i successi ottenuti sotto la sua guida. L’empatia con i sostenitori era totale e Shankly si sentiva a tutti gli effetti uno di loro: figlio della working class come le migliaia di persone che ogni sabato assiepavano la Kop. Il credo politico e i valori morali furono alla base della sua visione del calcio: “Per me il socialismo vuol dire lavorare per gli altri e dividere con loro i risultati. E’ il modo in cui intendo il football, è il modo in cui intendo la vita”.
Nel frattempo molti giocatori del Liverpool iniziarono una parabola discendente e costrinsero il manager a ricorrere al mercato nella stagione 1966-67, in quella che fu sorta di seconda ricostruzione. La fase di rinnovamento continuò per qualche anno e di trofei ad Anfield non se ne videro più. Almeno fino al 1972-73, quando il Liverpool tornò alla ribalta e mise in bacheca il terzo titolo della gestione Shankly. Lo scozzese ebbe ancora ragione: anni di transizioni e privi di soddisfazioni servirono per costruire una squadra che in quell’anno dominò la scena nazionale e internazionale. Grazie all’ingaggio di Kevin Keegan nel 1971, i Reds si aggiudicarono anche la Coppe UEFA e Shankly divenne il primo allenatore a condurre un club inglese al successo in campionato e in Europa nella stessa stagione.
Un episodio avvenuto nel 1973 lo vide protagonista e fece epoca: durante il giro d'onore per celebrare la vittoria del campionato, un agente di polizia gettò di lato una sciarpa lanciata dalle tribune. Shankly si avvicinò all'agente e gli disse: «Non farlo, per te è solo una sciarpa, per un ragazzo rappresenta la vita», raccogliendo poi la sciarpa e legandosela al collo. Un microfono posto nelle vicinanze captò e diffuse le sue parole, dimostrando per l’ennesima volta l’amore reciproco instauratosi tra il manager e la tifoseria.
Shanks era all’apice della sua carriera e una volta raggiunta la cima della montagna iniziò una lenta quanto inesorabile discesa. Il capolinea fu rappresentato dalla vittoria della FA Cup nel 1973-74 contro il Newcastle, al termine della quale Shankly si lasciò andare agli elogi verso i suoi giocatori: “Il Liverpool è la migliore squadra d’Inghilterra e probabilmente del mondo” disse ai giornalisti.
Quella sarebbe stata una delle sue ultime dichiarazioni rilasciate alla stampa in veste di allenatore del Liverpool. Al rientro negli spogliatoi, con i suoi giocatori in preda ai festeggiamenti, Shankly si sedette in disparte e meditò il suo addio. Una decisione che avrebbe sconvolto un’ intera città e tutto il calcio inglese.
Durante una conferenza stampa del 12 luglio 1974, Shankly dapprima annunciò l’acquisto di Ray Kennedy dall’Arsenal, poi lasciò la parola al presidente John Smith che lesse un comunicato: “E’ con grande rammarico che devo informarvi che mister Shankly intende ritirarsi dalla carica di allenatore”. Nessuno credette inizialmente a quelle terribili parole. Eppure non si trattava di uno scherzo, era tutto vero. A 61 anni, il manager che aveva creato una squadra eccezionale partendo dal nulla, rassegnò le dimissioni. Si disse che questa decisione fu motivata dal desiderio di passare più tempo con la propria famiglia e staccare la spina da un’attività che aveva privato Shanks di molte energie fisiche e mentali. Il suo posto fu assegnato al fidato collaboratore Bob Paisley, che raccolse i frutti del duro lavoro di Shankly. In 9 anni la nuova guida dei Reds vinse più del proprio predecessore, per un totale di 20 trofei sparsi tra Inghilterra ed Europa. Ma i primi mesi di Paisley da allenatore furono tutt’altro che semplici: Shankly si pentì delle dimissioni, iniziò a frequentare nuovamente - ma da privato cittadino - Anfield e il campo di allenamento a Melwood. La dirigenza non gradì e gli vietò l’ingresso negli impianti, timorosa che la sua costante presenza togliesse credibilità al nuovo manager. La reverenza nutrita nei suoi confronti era talmente forte che i calciatori si rivolgevano a lui chiamandolo “Boss”, mentre Paisley doveva accontentarsi del solo appellativo “Bob”. I tifosi presero malissimo il suo allontanamento forzato e accusarono la società di scarso rispetto verso colui che aveva reso grande la loro squadra. Shankly non prese nemmeno in considerazione un ruolo dirigenziale, data la sua forte antipatia verso tutti i “colletti bianchi”- visti come semplici affaristi - dovuta al suo spirito socialista tipico dei membri della working class. Negli anni a venire, Shanks si divise tra la famiglia e le partitelle dei ragazzini cui spesso assisteva. La vicinanza della propria abitazione con il campo di allenamento dei Toffees gli fece stringere rapporti amichevoli con il principale bersaglio delle sue simpatiche battute negli anni d’oro. Immortali rimangono le frecciate rivolte ai cugini, che prima del suo arrivo ad Anfield erano gli assoluti padroni della città: “Ci sono solo due squadre di calcio nel Merseyside: il Liverpool e le riserve del Liverpool” e ancora “Se l'Everton giocasse nel giardino sotto casa chiuderei le tende”.
Un improvviso infarto si portò via per sempre Shankly il 29 settembre 1981, gettando nello sconforto un’intera nazione. Fu soltanto una morte fisica, perché il suo spirito vive tutt’ora dalle parti di Anfield. In sua memoria, il Liverpool gli edificò una statua fuori dalla Kop e gli intitolò uno degli ingressi allo stadio, il celebre “Shankly’s Gate”, presente anche nello stemma del club.
In occasione del centenario della sua nascita – caduto in concomitanza con il Derby d’Inghilterra tra Liverpool e Manchester United del 2 settembre 2013 - Anfield gli dedicò una coreografia commovente, levando uno striscione dalla Kop con la scritta “He made people happy”. Perché la felicità fu quel sentimento che Shankly regalò a una città intera (“I wanted to bring back happiness to the people of Liverpool“) e per il quale si guadagnò l’affetto e l’amore di una tifoseria che continua ancora oggi a ringraziare colui che dalle ceneri fece risorgere un club destinato a fare la storia in Inghilterra e in Europa.
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