All’inferno e ritorno. A
Bournemouth – città di 183mila abitanti nel Dorset, a sud dell’Inghilterra – il
recente passato che aveva rischiato di rivelarsi fatale ha lasciato spazio
all’immediato futuro chiamato Premier League. Le Cherries (soprannome che deriva dai ciliegi presenti nelle
vicinanze del Dean Court, casa del club fin dal 1910) lunedì hanno festeggiato
il raggiungimento nella massima serie sconfiggendo il Bolton per 3-0. Un
risultato che ha permesso al club di portarsi al secondo posto in solitaria a
87 punti, a tre lunghezze dal Middlesbrough, che per compiere il sorpasso
dovrebbe vincere l’ultima partita con uno scarto pari a 19 gol. Un’utopia, che
ha messo subito da parte l’aritmetica e la scaramanzia per dare vita alla festa
per un traguardo storico: la promozione in Premier League per la prima volta in
116 di storia. E pensare che, nemmeno troppo tempo fa, la società era andata ad
un passo dal fallimento e dalla sparizione dall’atlante calcistico.
Era il gennaio del 1997 e nel centro
cittadino di Bournemouth, davanti allo stadio
Dean Court, erano state piazzati dei barattoli dipinti con
i colori sociali rosso e nero (omaggio al Milan, voluto dal presidente John nel
1971) per raccogliere i soldi necessari a salvare il club.
La squadra militava in terza divisione, non pagava gli stipendi
ed aveva debiti
per 5 milioni di sterline. Debiti che avrebbero anche potuto essere spalmati
negli anni a venire. Ma c’era un problema: erano necessaria 300mila sterline da
trovare immediatamente per scongiurare la radiazione. La città rispose alla
grande e si raccolsero oltre 35mila sterline. Per far fronte al buco che
restava da colmare, i tifosi decisero di organizzarsi nel primo Supporter
Trust del calcio professionistico britannico. Un modello che
sarebbe poi stato imitato anche da altre realtà inglesi, Portsmouth e FC United
of Manchester tanto per fare due esempi. Nacque una nuova società, in cui i sostenitori
detenevano il 51% del voto di maggioranza, un sistema analogo a quello presenti
oggi in Germania. Il club fu salvo e si narra addirittura che i soldi vennero
chiusi e sorvegliati all’interno dell’auto di Trevor Watkins – impiegato nel
ramo assicurazioni e tifoso del Bournemouth fondatore del Trust – e che fu lui
stesso a consegnarli al mattino successivo direttamente in banca.
Ma il lieto fine era ancora lontano
e quella gioia si rivelò presto effimera. Passarono soltanto dieci anni e nel
2007 il club fu posto in amministrazione controllata. Per la seconda volta le
tenebre del fallimento avvolsero le sponde del Dorset: il Bournemouth ripartì
dalla quarta divisione inglese con 17 punti di penalità in classifica. Sembrava
impossibile poter mantenere la categoria ed evitare la retrocessione – che
quasi sicuramente avrebbe voluto dire addio ad ogni speranza di vita – eppure
quello fu l’anno che segnò la futura rinascita della società. Capitato nel
momento più buio della storia recente. Dopo due cambi in panchina, fu chiamato
come allenatore Eddie Howe, ex giocatore del club dal 1994 al 2002 con
un’ulteriore parentesi dal 2004 al 2007. Howe diventa a soli 31 anni il manager
più giovane del calcio professionistico britannico e compie l’impresa, portando
la squadra ad una clamorosa salvezza. L’anno seguente riesce addirittura a fare
di meglio, ottenendo la promozione in terza serie, la League One. A questo
punto il manager accetta la chiamata del Burnley e vi rimane per un anno e
mezzo prima di tornare a casa, dove tutto era cominciato: al Bournemouth, Howe
raggiunge un altro incredibile traguardo: la promozione in Championship. Sarebbero passati soltanto due anni prima di
salire nell’olimpo della Premier League. 116 anni di attesa, passando tra
mancati fallimenti e retrocessioni, per realizzare il sogno di una vita. Un
sogno tramutatosi in realtà, dietro le cui quinte c’è anche un pizzico di
Italia. Il medico, infatti, è Nicola Sanna, un ottimo professionista che dopo
un passato al Cagliari ha scommesso sull'avventura inglese. Un indiscusso
successo condiviso con la celebre clinica Villa Stuart di Roma, dove i
giocatori del Bournemouth vanno a curarsi. Ma è il misterioso trader russo Maxim
Denim che nel 2011 comprò il club per 850mila sterline la vera curiosità di
questa piccola realtà del Dorset. In città non lo ha mai visto nessuno, frequenta
molto di rado il Dean Court (e quando lo fa non rilascia interviste), vive in
Svizzera ma si è fatto costruire una milionaria villa da sogno a Sandbanks,
poco distante da Bournemouth.
Nella stagione 2014-15 il club
parteciperà alla suddivisione dei 7 miliardi che la Premier League riceverà nel
prossimo triennio dai diritti televisivi. La possibilità di poter gareggiare
contro i più grandi ha già elettrizzato il presidente Jeff Mostyn, che nel dopo
gara contro il Bolton non ha contenuto l’entusiamo: «Probabilmente saremo il club più piccolo della storia della Premier, una favola alla Hans Christian Andersen»
. Difficile dargli torto, dal momento che lo stadio può ospitare appena 12mila spettatori.
Il futuro, comunque, per adesso può
attendere. A Bournemouth è tempo di festeggiare, aspettando un domani di calcare i
prati di Anfield e dell’Old Trafford. Perché la prima volta non
si scorda mai e una Premier League al sapore di ciliegio non capita mica tutti i giorni.
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